Un’ottantina di vocaboli rubati a casaccio da poesie, brani letterari, immagini quotidiane, storie personali. Parole affidate alla rinfusa a un programma di computer che le rimixa, abbinandole due a due. Tra le coppie di termini proposte dal PC, un gruppo di giovani danzatori-coreografi, incerti sul nome da dare alla compagnia che stanno fondando, sceglie un’associazione dal timbro esotico e vagamente misterioso: Sosta Palmizi. E’ il 1984 e dallo scioglimento del Teatro Danza La Fenice Carolyn Carlson sta nascendo una delle formazioni che maggiormente inciderà nella storia e nello sviluppo della coreografia contemporanea italiana, Sosta Palmizi appunto.

A formare il gruppo Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi, Raffaella Giordano e Giorgio Rossi. Insieme avrebbero firmato e interpretato da lì a poco Il Cortile, spettacolo cardine della prima generazione della danza d’autore italiana, simbolo ancora oggi di un’originale forma di teatrodanza, governata da una gestualità primitiva che esprime la condizione del vivere.

“C’erano tra noi – ci raccontava anni fa Giorgio Rossi – delle cose tacite. Non erano necessarie spiegazioni. Semplicemente eravamo convinti di ciò che facevamo. Volevamo dire, raccontare, tirare fuori la nostra follia, i nostri lati nascosti: e la danza sfociava nel teatro”. Spettacolo nato dall’elaborazione e montaggio del materiale accumulato tramite le improvvisazioni dei sei coreografi-interpreti, Il Cortile era frutto di una modalità “collettiva” di creazione, felice quanto complessa da portare avanti. Non è un caso che l’esperimento sia proseguito soltanto per altri due lavori: il rituale Tufo del 1986 e Perduti una notte, delicato trio del 1989 di e con i soli Castello, Giordano e Rossi. Era nella natura delle cose che l’avventura collettiva, almeno sotto il profilo creativo, non potesse continuare all’infinito. Gli ex figli di Carolyn Carlson erano diventati grandi e, poco a poco, mettevano a fuoco l’indirizzo e la temperatura delle loro ricerche indipendenti. […]

 

Francesca Pedroni, Abitare il corpo, i molteplici percorsi di Sosta Palmizi
Art’o n°12, autunno 2002

compagnia Sosta Palmizi
Produzioni Sosta Palmizi 1985 – 1989

coreografia ed esecuzione Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello,
Roberto Cocconi, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi
musiche Arturo Annecchino
scene e costumi Trappolastrice
luci Limilight
collaborazione per le scenografie Stefano Perocco
elettricista Andrea Muriti
registrazioni audio Studio GC
assistente musicale Ferdinando Nicci
Coproduzione Cantiere d’Arte di Montepulciano/Sosta Palmizi

Lo spettacolo racconta, in chiave astratta, di sei giorni di vita di un gruppo di sopravvissuti ad un cataclisma, all’interno di un cortile. Il pavimento è cosparso di terra, la scenografia essenziale suggerisce una situazione di estrema miseria ed una sorta di follia pervade tutto l’ambiente.

Questa situazione anomala consente la messa in scena di comportamenti assurdi, surreali, a volte drammatici…Il cortile è un limite arbitrario interno ed esterno, è pretesto per una sorta di spaccato di vita interiore, di un flusso di coscienza fra realismo e assurdo.

Il Cortile è la prima esperienza collettiva del gruppo. Lo spettacolo, nato a Montepulciano, ospite del Centro internazionale d’arte di Montepulciano, riflette la natura e l’atmosfera del luogo dove è stato creato. La pioggia, il fango, le continue difficoltà di quei mesi di lavoro influenzano in modo determinante la psicologia con la quale di giorno in giorno si affronta la creazione.. uno spettacolo molto oggettivo, in terza persona, che invita a guardare e non ad immedesimarsi … ma il centro di questo spettacolo oggettivo, in terza persona, è bruciante, comunica qualche cosa di molto personale, di molto vero: non una confessione, ma l’impronta sincera della personalità, una condizione.

“Un lavoro di ottimo artigianato. Un’ora di spettacolo che fugge, una passerella di umori, situazioni, movimenti concentrati nello spazio claustrofobico e depresso di un cortile senza tempo. Chiuso tra mura fatte di panni stesi, da una cassa-gabbia senza sbarre che si apre davanti agli occhi dello spettatore per far entrare e uscire i protagonisti ridotti ad animali da cortile”.

Marinella Guatterini / Arriva il ballo del pollaio/ L’Unità, 08/05/1985

“Sosta Palmizi è il regalo d’addio di Carolyn Carlson all’Italia. Capofila del fenomeno nuova danza è nato dalle radici lagunari e dalla voglia di smuovere le acque troppo quiete di una danza contemporanea marginale, d’acquisto, sclerotizzata. Il Cortile dell’85 la prima produzione collettiva è un lavoro povero nel senso dell’arte povera tutto giocato su un forte registro emotivo ed espressivo; non ha più nulla di Carlsoniano; è nato un nuovo stile veristico e ruspante, né astratto né concreto; casomai allusivo di narrazioni che ogni spettatore potrà sviluppare a suo piacimento. D’altro canto Il cortile è un successo di  pubblico, da subito, persino difficile da gestire sul piano artistico. Ciascuno dei danzatori, infatti, ha una sua personalità, un suo marchio, una sua cifra stilistica, che deve trovare collocazione ed equilibrarsi all’interno della compagnia nel lavoro comune, che non può esser soltanto la sommatoria delle improvvisazioni proposte dai singoli e che non sempre trova sufficienti stimoli o possibilità di sviluppo nel chiuso del gruppo”.

Elisa Vaccarino /Critica Teatrale/ 1985

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ambientazione coreografica Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi
esecuzione Francesca Bertolli, Roberto Castello, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi, Giuseppe Scaramella
musiche Andrea Lesmo, Luca Colarelli
scene Sosta Palmizi
costumi Wainer Vaccari
luci Enrico Bagnoli
esecuzione Mauro Papette
Coproduzione Festival Inteatro Polverigi/Sosta Palmizi, in collaborazione con Vlaams Theater Circuit (Bruxelles) e Der Singel Theater (Antwerpen)

Superficie curva, una zona di terreno perduta, vissuta e percorsa da ignoti viandanti.
Luogo dove rifugiarsi nei momenti di eccesso, luogo da attraversare, da portarsi dietro, da pestare, annusare. Spazio e tempo non trovano modo di scoprirsi, si colorano del colore degli
occhi di chi guarda. Nel piccolo lembo di terra che assorbe e contiene tutti gli odori da sempre
e ancora i frammenti si aggiungono e si stratificano nel terreno. Gli umori di tutti dipingono il
percorso.

“..TUFO dimostra professionismo, capacità di concentrazione e serietà di intenti. Dimostra soprattutto che questi giovani artisti… hanno saputo elaborare un loro proprio metodo di lavoro, una loro tecnica e quindi un loro linguaggio… Essi sono andati a cercare nuovi “dansemi” proprio nella dimensione più antica del mondo: quella primordiale… Il ritorno alle origini inteso come analisi critica della realtà contemporanea”.

Vittoria Ottolenghi, Paese Sera 25/5/1986.

“La scena è scarna: una superficie piatta, una forma rotonda, una struttura sul fondo. Gli interpreti instaurano legami, complicità, attriti in un gioco ove spazio e tempo vengono brutalizzati, sospesi, allungati; si creano sovrapposizioni, viaggi, percorsi paralleli, sdoppiamenti. Lo spettacolo si articola però in modo lineare, mira ad una sorta di astratta omogeneità, lo spettatore segue l’emozione, il filo sottile che lega le cose in modo necessario.
L’energia in quanto forza pura detta il ritmo.
..Tra i personaggi si instaurano rapporti sempre precari dove gli incanti poetici sono solo attimi scompigliati dall’irruzione di attriti anch’essi fulminei: come a voler sottolineare la mutevolezza degli stati d’animo in un mondo inesorabilmente caotico. In una scena popolata d’ombre i cinque eseguono il loro inquietante rituale con perfetta armonia e con un linguaggio
coreutica ormai maturo, fatto proprio non più debitore di qualsivoglia maestro.

Il Secolo XIX, 27/7/1986

“..C’è un’animalità perversamente infantile che emana dalle loro esistenze primigenie.. Con una devozione di colore sacrale che guarda ad un oriente aspro e forte si tende ad uno scioglimento di un’energia sempre più ampia, fino ad una danza conquistando la verticalità in un alternarsi di incontri e duetti sublimi densi di storie e memorie sottese”.

Leonetta Bentivoglio, Panorama 04/5/1986

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ideazione sosta palmizi
con Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi.

coreografia ed esecuzione Roberto Castello, Raffaella Giordano, Giorgio Rossi
musiche a cura di Daniele Bertotto
scene Francesco Calcagnini
costumi Maria de Jong
luci Ilda Rosati
Coproduzione Festival di Castiglioncello/Sosta Palmizi

Per lunghi anni nessuno era ritornato e nessuno sapeva che ancora il luogo viveva, tutto era semiperduto nell’oscurità, odore di antico, di vite complicate, intrighi di sempre.
Qualcosa di sfuggente, di imprendibile.
Erano in due, qualcuno, un’idea, un pensiero, un momento prima.Come rilegare il libro dai fogli perduti.Ricostruire la storia dai pezzi monacanti.
Come se fosse sempre troppo tardi, tornano in mente donne e uomini bizzarri, fatti a brandelli, indistinguibile il vero dal falso.Un sottile piacere per coloro che si divertivano a confondere, testimoni occulti di un confuso amore.

“.. E’ un accumularsi di “leit motiv” visivi, gestuali, musicali questo spettacolo dal fascino sottile che si insinua lentamente nell’anima, cha cattura a poco a poco lo spettatore e lo porta in un mondo di visioni rétro e demodè e riconferma la straordinaria bravura compositiva ed esecutiva di questo gruppo storico…Sono brandelli di storie degli Anni ’30 che emergono, figurine da film dei telefoni bianchi, tanghi stilizzati e grotteschi, golosità assassine, travestimenti, un flamenco preso sul ridere, risate, borbottii incomprensibili. Strepitoso il brano danzato unicamente sul ritmo del respiro emesso con forza, sul battere ripetuto dei piedi”.

Sergio Trombetta /Sosta Palmizi fascino rétro/ La Stampa, 03/03/1990

“.. Perduti una notte è un’occasione di più per apprezzare la concentrata intensità, l’atmosfera raffinata, il senso del racconto abbinato ad una pregnante esecuzione coreografica… Vive un po’ nella frammentazione e nella deflagrazione, un po’ nell’armonia del grande movimento la narrazione senza racconto di Perduti una notte”.

Sergio Colomba /Al ballo dei fantasmi/ Il Resto del Carlino, 25/11/1989.

.. Perduti una notte è un notevole balzo in avanti nella poetica del gruppo. Lo spettacolo cancella l’immagine dei corpi infagottati, polverosi, sbrindellati a cui per diversi anni i Sosta, in forme certo diverse, si sono aggrappati. E arricchisce il movimento, al solito pieno di gag e di straniamenti mimati, di una gamma di passi, di ariose, poetiche fluttuazioni. La base narrativa è semplice e parte proprio dal titolo. In una notte di tragedia, tre enigmatici personaggi si perdono in un teatro in disuso. E’ l’occasione per riallacciare frammenti e ricordi dispersi.
Imperscrutabili memorie personali, recite e recite già recitate continuamente si confondono tra
estasi letterarie ed ironiche incursioni nel melodramma”

Marinella Guatterini / “Perduti una notte e poi ritrovati”/ Marie Claire, 11/1989

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