Compagnia Daltura

Varco (2008)

autori e interpreti Carmelo Scarcella e Frida Vannini
costumi e scene Carmelo Scarcella e Frida Vannini
disegno luci Andrea Margarolo
musiche autori vari
co-produzione Associazione Sosta Palmizi e Centre Choreographique National Roubaix Nord-Pas de Calais

Varco è un viaggio: è un rito di passaggio‚ un cammino iniziatico‚ un processo volto ad approfondire una conoscenza non solo di questo mondo ma anche di altri possibili mondi‚ di altre dimensioni; è un’esplorazione centrata sulla scoperta di se stessi e delle proprie potenzialità ‚ ma anche dei propri drammi‚ dipendenze psicologiche della famiglia e ossessioni infantili che tornano.
E un attraversamento di questo genere è sempre frutto di sofferenze‚ di esperienze dolorose‚ di crudeltà‚ di ferocia‚ in un territorio sospeso tra il sogno e la veglia‚ l’immaginazione e la realtà.
Il mezzo che ci permette di pellegrinare verso questo luogo ideale è il sogno‚ essendo esso stesso un viaggio che si intraprende da soli verso l’ignoto‚ un viaggio alla ricerca della propria identità‚ della propria psiche e dei sedimenti che la costituiscono.
Il sogno ci induce a percorrere i labirinti dell’inconscio‚ ne scandaglia il territorio‚ mettendo a nudo paure‚ ansie e desideri che emergono come intime rivelazioni in riflessi di un vissuto inesplorato.

Siccome il processo attraverso cui sorge l’esperienza é lo stesso sia in sogno sia da svegli perché costituito dalle proiezioni della nostra mente e dal significato che gli attribuiamo‚ ci sembra interessante non trattare di un mondo di illusione ma situazioni di vita quotidiana‚ emozioni dell’animo umano che spesso non riescono ad esprimersi o risolversi nella realtà e tornano a prendere forma nella dimensione del sogno in chiave visionaria‚ creativa e poetica.

Ciò che utilizziamo per identificare il paesaggio onirico sono i simboli celati nel nostro pensiero arcaico. Essi si riferiscono infatti alle esperienze originarie della nascita‚ della morte‚ degli animali e di simboli sacri e prendono vita durante il sonno in momenti di profonda crisi e di grande cambiamento. Il simbolo suscita sensazioni profonde e anche il più banale evento quotidiano può sollecitare l’emergere di archetipi sperimentati da generazioni precedenti.
Inoltre il simbolo contiene in sé una possibilità di trasformazione‚ vive nella dimensione del progetto‚ del non−ancora perché non ha una definizione stabile e può essere interpretato.

Il palo ‚ uno dei nostri elementi scenografici‚ è un simbolo universale che rappresenta l’essenza profonda del rapporto dell’uomo con la trascendenza. Con la sua verticalità unisce il cielo alla terra‚il sacro al profano‚il visibile all’invisibile ed è anche espressione della stessa vita che si rigenera incessantemente.

Spesso il “centro”‚ il punto di inizio o assoluto di tutte le cose viene immaginato come un asse verticale o asse cosmico che‚ situato al centro dell’universo‚ attraversa il cielo‚ la terra e il mondo sotterraneo.
Il palo di legno che utilizziamo ha dei fori dentro i quali vengono piantati dei pioli‚ metafora di gradini attraverso i quali come su di una scala‚ le anime degli uomini salgono verso il divino o l’onirico. Ma una volta rovesciato‚ abbattuto alla terra‚ l’asse che in posizione normale indicava l’ascensione della materia nello spirito‚ indica e sottolinea la discesa dello spirito nella materia con la sua gravità.
L’altro elemento scenografico è un tavolo di legno sul quale si intravedono attraverso le fessure gli strati intimi della struttura che disegnano una sorta di ferita. Il tavolo si trasforma durante lo spettacolo assumendo via−via diversi significati; è riparo‚ gabbia‚ muro e finestra‚ prigione del corpo e dello spirito‚ luogo del riposo.

Varco tratta del mondo inconscio di due personaggi che compiono un viaggio di liberazione dalle co−dipendenze e di ricerca di una possibile felicità.
Qui il rapporto di coppia è usato come metafora di strutture mentali e sociali ‚ punti di riferimento‚ che se da un lato sostengono e sviluppano la nostra identità‚ dall’altro limitano e rallentano‚ talvolta‚ il processo di auto−consapevolezza al punto da suscitare un senso di vuoto e smarrimento nel momento in cui vengono a mancare.
In un mondo in cui l’ambiente è invaso e sostituito da quello costruito ‚ la potenza dei luoghi sconosciuti si sposta sempre più lontano fino a diventare irraggiungibile. Inoltre‚ nonostante le nostre mappe mentali da adulti‚ smarrirsi è un’esperienza sempre latente.

La prima scena si apre su di un paesaggio ampio e silenzioso in cui i due personaggi agiscono in uno stato di disorientamento‚ senza punti di riferimento precisi. Sono “qui” ma “qui”non corrisponde a “dove“ vorrebbero essere. Lo spaesamento della figura femminile rappresenta non il essere altrove ma il non saper accoppiare alla sua località un luogo determinato. Ella è cioè fuor−di–luogo.
La sua paura di “perdersi” è a volte più forte dello stesso perdersi‚ perché significa essere alla deriva‚ alla mercé delle presenze dei luoghi‚ senza nessuna delle sicurezze dovute alla consuetudine ‚ all’ambientamento‚ al nostro o ai nostri posti nel tessuto del reale.

La paura dell’ignoto è come se in qualche modo paralizzasse: la figura femminile infatti viene portata e spostata nello spazio‚ in braccio o sulle spalle come una bambina (accettazione della dipendenza). La figura maschile‚ invece‚ rappresenta in questa situazione ‚ colui che nello smarrimento continua a determinare‚ riconfermare le boe attorno alle quali muoversi‚ i punti di riferimento che determinano noi stessi come individui ambientati.

Svolge l’azione ripetitiva di piantare dei pioli di legno attorno ad un palo‚ oggetto simbolo di “insediamento”‚ il cui significato indica a sua volta un processo‚ una azione‚ una dinamica.
Il suo ruolo è quello di “fondatore”‚ colui che deve addomesticare un luogo disabitato o abitato da altri precedentemente. Il territorio‚ per chi è appena arrivato‚ è un caos una terra di cui deve riconoscere la potenza‚ ricercarla o evitarla‚ rafforzarla o indebolirla‚ ma “in ogni caso distinguere il luogo come località”.

Una volta che la costruzione del palo è completata‚ i personaggi compiono un gradino di crescita rispetto alla loro situazione di smarrimento. I due camminano insieme aprendo nuovi orizzonti‚ nuove possibilità. Usano la sensazione di pericolo possibile e imminente trasformandola nel senso dell’avventura ‚ della “conquista dello spazio” cioè di nuovi spazi per i loro movimenti‚ di nuovi luoghi‚ l’ampliamento della loro mappa mentale.

In questa scena c’è il tentativo di liberarsi‚ dalle conseguenze drammatiche del perdersi‚ dell’imparare ad orientarsi da soli‚ a non aver bisogno di una guida per uscire dai meandri e trabocchetti dell’ambiente circostante. Tentativo di dominare la paura di “finire” nella indifferenza e dispersione che ci circonda e trovare in mezzo ad esse i nostri punti di riferimento.
L’uomo che incarna le vesti di un personaggio dal carattere forte e accentuatamente autoritario‚che ha celato le proprie paure per non dar prova di debolezza‚ vivendo e risolvendo le emozioni in silenzio‚ entra in contatto con il proprio intimo e quella che era stata la sua forza gli si rivolta contro e come un fantasma interiore lo insegue. Una sensazione di imbarazzo e inadeguatezza lo invade e emerge in superficie creando inquietudine.

L’ombra di se stesso diviene il nemico da cui scappare.
La donna‚ imprigionata da un muro‚ rappresentato dal tavolo in posizione verticale‚ rimane con gli occhi fissi dietro i vetri della finestra come dei testimoni ora complici‚ ora giudici di ciò che accade. La finestra simboleggia le contraddizioni dell’animo. “La fenêtre unit la fermeture et l’ouverture‚ l’entrave et l’envol‚ la cloture dans la chambre et l’expansion au dehors‚ l’illimité dans le circonscrit”. (Jean Rousset)

La finestra rappresenta comunque una situazione di limite e i vetri un confine di trasparenza e ostacolo tra il mondo esterno e quello interno.
I vetri che si presentano chiusi come difesa all’inizio‚ che fungono da schermo protettivo dal contatto crudo con il reale‚ sembrano trasformarsi in apertura ideale verso la libertà dell’infinito.
Un corpo prigioniero di uno spazio chiuso cerca una via di fuga e al tempo stesso preserva l’interno come luminoso e intimo spazio della ricerca interiore.
Talvolta la finestra rimane spalancata su un vuoto abissale e quello scorcio di liberazione ‚ rappresenta invece la via per la quale possono penetrare le distruttive angosce.
I vetri acquistano profondità ‚ aprendo prospettive cariche di incognite misteriose.
La finestra è qui intesa come un limite astratto‚ mentale‚ la cui apertura ‚ permette un varco ad una suggestione lontana‚ piena di interrogativi.
Risulta affascinante il fatto che continuiamo in un certo senso a sognare noi stessi ‚ sia nel sogno sia nella dimensione materiale e quindi pensare che il mondo è un sogno‚ che non c’è posto dove il sogno si interrompe.
Dov’è il confine tra sogno e realtà?

Frida Vannini e Carmelo Scarcella

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autori e interpreti Carmelo Scarcella e Frida Vannini
costumi e scene Carmelo Scarcella e Frida Vannini
disegno luci Andrea Margarolo
musiche autori vari
co-produzione Associazione Sosta Palmizi e Centre Choreographique National Roubaix Nord-Pas de Calais

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